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Santi del 26 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

1 Sant' Alessandro di Bergamo - Martire (26 agosto)

sec. IV
Patrono di Bergamo, vissuto a cavallo del III e IV secolo.
Dopo essere stato comandante di centuria della legione Tebea, utilizzata prevalentemente in Oriente, è spostato in Occidente.
Gli viene ordinato di ricercare i cristiani contro i quali è in atto una persecuzione.
Di fronte al suo rifiuto e di alcuni compagni segue la decimazione, a cui riesce a salvarsi.
Scappa a Milano dove però è riconosciuto e incarcerato.
Grazie a san Fedele, che organizza la fuga di Alessandro, si rifugia a Como e infine, passando per Fara Gera d'Adda e Capriate, arriva a Bergamo.
Qui, ospite del principe Crotacio, che lo aiuta a nascondersi, inizia la sua opera di predicazione e conversione di molti cittadini, tra cui i martiri Fermo e Rustico.
Ma nel 303 Alessandro è nuovamente scoperto e catturato.
Condannato alla decapitazione, muore il 26 agosto a Bergamo, dove ora sorge la chiesa di Sant'Alessandro in Colonna. (Avvenire)
Patronato: Bergamo
Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Bergamo, Sant’Alessandro, martire.  
Alessandro, patrono della città di Bergamo, è raffigurato tradizionalmente in veste di soldato romano con un vessillo recante un giglio bianco.
Il vessillo sarebbe stato quello della Legione Tebea comandata da San Maurizio (legione romana composta secondo la leggenda da soldati egiziani della Tebaide) nella quale Alessandro sarebbe
stato secondo gli Atti del martirio, comandante di centuria.
La legione romana utilizzata in prevalenza in oriente, venne spostata nel 301 in occidente per controbbattere gli attacchi dei Quadi e dei Marcomanni.
Durante l'attraversamento del Vallese alla legione fu ordinato di ricercare i cristiani contro i quali era stata scatenata una persecuzione.
I legionari, cristiani a loro volta, si rifiutarono e per questa insubordinazione vennero puniti con la decimazione eseguita ad Agaunum (oggi S. Moritz).
La decimazione consisteva nell'uccisione di un uomo ogni dieci.
Al perdurare del rifiuto dei legionari di perseguitare i cristiani, fu eseguita una seconda decimazione e quindi l'imperatore ordinò lo sterminio.
Pochi furono i superstiti, tra cui Alessandro, Cassio, Severino, Secondo e Licinio che ripararono in Italia.
A Milano Alessandro fu però riconosciuto e incarcerato, dove rifiuta di abiurare.
In carcere riceve la visita di San Fedele e del vescovo San Materno.
Proprio San Fedele riesce a organizzare la fuga di Alessandro, che ripara a Como, dove fu nuovamente catturato.
Riportato a Milano fu condannato a morte per decapitazione, ma durante l'esecuzione ai boia si irrigidivano le braccia.
Fu allora nuovamente incarcerato.
Riuscì nuovamente a fuggire e raggiunse Bergamo passando per Fara Gera d'Adda e Capriate.
A Bergamo fu ospitato dal principe Crotacio, che lo invitò a nascondersi, ma Alessandro iniziò a predicare e a convertire molti bergamaschi, tra cui i martiri Fermo e Rustico.
Fu perciò scoperto e nuovamente catturato, la decapitazione venne eseguita pubblicamente il 26 agosto 303 nel luogo ove oggi sorge la chiesa di Sant' Alessandro in Colonna.
Probabilmente Alessandro fu effettivamente un soldato romano, originario o residente a Bergamo, torturato e ucciso per non avere rinunciato alla propria fede cristiana.
Il Sacro corpo di S. Alessandro si venera nella cappella gentilizia del castello ducale di Pescolanciano (Isernia - Molise). (Autore: Maurizio Misinato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Alessandro di Bergamo, pregate per noi.


2 Beato Ambrogio da Benaguacil (Luis Valls Matamales) - Sacerdote e Martire (26 agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene: “Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Valencia” - “Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001” - “Martiri della Guerra di Spagna”
Benaguacil, 3 maggio 1870 – 24 agosto 1936
Predicazione, ministero delle confessioni e della direzione spirituale furono la sua attività di frate minore cappuccino.
Fu uomo di preghiera e di carità. Costretto a lasciare il convento di Massamagrell (Valencia), si diresse a Vinalesa dove la notte del 24 agosto 1936 fu arrestato e condotto davanti al comitato del popolo per essere interrogato.
Sulla strada da Valencia a Barcellona, nel luogo detto “Altura De Los Consumos” fu assassinato.
É stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, domenica 11 Marzo 2001.
Martirologio Romano: A Valencia sempre in Spagna, Beato Ambrogio (Luigi) Valls Matamales, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che per il sangue versato durante la persecuzione meritò di essere partecipe del banchetto eterno.
Nacque il 3 maggio 1870 a Benaguacil (Valencia) e fu battezzato il 4 maggio 1870 nella parrocchia di Nuestra Señora de la Asunción di Benaguacil e ricevette la Confermazione nella parrocchia di Liria (Valencia). Era figlio di D. Valentín Valls e di Donna Mariana Matamales.
Entrò nell’Ordine cappuccino nel 1890, vestendo l’abito il 28 maggio 1890; emise la professione temporanea il 28 maggio 1891 e quella perpetua il 30 maggio 1894. Fu ordinato sacerdote il 22
settembre 1894 e celebrò la sua prima Messa nel convento dei Cappuccini di Sanlúcar de Barrameda (Cadice).
“Era un religioso molto modesto - dice di lui Suor Maria Amparo Ortells - sempre con lo sguardo raccolto; molto umile; tutto gli sembrava troppo e si notava in lui un grande spirito di preghiera. Era molto devoto della santissima Vergine”. “Fra i compagni di religione era considerato un buon religioso.
Fedele osservante delle regole francescane e molto devoto del nostro Padre san Francesco...”. Lavorò apostolicamente nella predicazione, nel ministero della confessione e della direzione spirituale. “Di preferenza lavorò come confessore e come direttore del Terz’Ordine di san Francesco”. “Il suo campo di apostolato fu principalmente la predicazione”.
Nella Provincia cappuccina di Valencia passò come uno dei migliori predicatori. La sua limpida devozione alla Vergine rimase scolpita in un piccolo opuscolo dedicato alla Vergine di Montiel, dal titolo Historias, Novenas, Favores y Montielerías de Nuestra Señora de Montiel, venerada en su ermita de Benaguacil, che nel 1934 giungeva alla terza edizione.
Risiedeva nel convento di Massamagrell (Valencia), quando si scatenò la persecuzione religiosa del 1936 in Spagna; si rifugiò allora in casa della Sig.ra María Orts Lloris a Vinalesa.
Dal suo nascondiglio desiderava di morire per Cristo nella Chiesa cattolica. “Non ebbe reazione contro il martirio - dichiara la Sig.ra María Orts - anzi, al contrario, aveva ardente desiderio di morire per Cristo. La sua reazione davanti al pericolo che correva era di grande serenità e di animo coraggioso. ‘Mi uccideranno - diceva - ma a voi non succederà niente’, come poi effettivamente avvenne”.
A Vinalesa sarà arrestato la notte del 24 agosto 1936. Portato in auto fino a Valencia, quella stessa notte verrà ucciso.
In quel momento - racconta la Sig.ra María - “il Servo di Dio ci chiese di pregare che non tornasse indietro nel suo cammino.
I miliziani erano armati di fucili e di mitragliatrici. P. Ambrogio dalla nostra casa fu portato al Comitato di Vinalesa per l’interrogatorio. Un’ora più tardi lo condussero al luogo del martirio.
Mi consta che durante la strada lo insultarono e lo maltrattarono, imputandogli il delitto di aver tenuto a Benaguacil una predica contro il comunismo. Al che il Servo di Dio rispose: ‘Io ho predicato soltanto la dottrina di Dio e il Vangelo’”. (Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Ambrogio da Benaguacil, pregate per noi.  


3 Sant' Anastasio di Salona (il Lavandaio) - Martire (26 agosto)

Martirologio Romano: A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, Sant’Anastasio lavandaio, martire.
Nel Martirologio Geronimiano è commemorato il 26 agosto con la qualifica di fullo (lavandaio).
Nel Martirologio Romano, invece, al 21 agosto è ricordato un Anastasio cornicularius (ufficiale militare) ed al 7 settembre un Anastasio di Aquileia.
Questi due ultimi nomi provengono da una leggendaria passio e furono introdotti nel martirologio da Adone.
In realtà unico è il martire Anastasio e precisamente quello del 26 agosto.
Secondo la passio, non di primo ordine, perché l'autore asserisce di averla composta su tradizioni orali, ma neppure da disprezzare completamente, Anastasio era originario di Aquileia: durante la persecuzione di Diocleziano si trovava a Salona dove fu arrestato e condannato ad essere gettato in mare con una pietra al collo.
La matrona Asclepia lo fece seppellire fuori Salona in uno splendido mausoleo a due piani, attorno al quale si sviluppò il cimitero di Marusinac e che alla fine del sec. IV fu incluso in un santuario.
Il Papa Giovanni IV (640-42) ne fece trasportare a Roma le reliquie insieme con quelle di altri santi della Dalmazia e le pose nella cappella di S. Venanzio presso il battistero lateranense, dove il martire è raffigurato nello splendido mosaico ivi posto. (Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Anastasio di Salona, pregate per noi.

 

4 Sant' Eleuterio di Auxerre - Vescovo (26 agosto)
Martirologio Romano: A Auxerre nella Gallia lugdunense, ora in Francia, Sant’Eleuterio, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Eleuterio di Auxerre, pregate per noi.  


5 Beato Felice (Félix) Vivet Trabal - Religioso Salesiano, Martire (26 agosto)

Schede dei gruppi a cui appartiene: “Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia” - “Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001” - “Martiri della Guerra di Spagna”
San Félix de Torel, Spagna, 23 gennaio 1911 – Esplugues, Spagna, 26 agosto 1936
Martirologio Romano:
Nella città di Esplugues vicino a Barcellona in Spagna, Beato Felice Vivet Trabal, religioso della Società Salesiana e martire, che durante la medesima persecuzione conseguì il merito di accedere al grande convito dei cieli. Nacque il 23 gennaio 1911 in San Félix de Torel16 (Barcellona). La sua famiglia si trasferì nella capitale della Catalogna, dove lavorava suo padre come imprenditore edile.  Don Félix studiò a Rocafort (Barcellona) e passò poi a Campello (Alicante). Emise i voti religiosi a Sarrla nel 1928. Fu inviato a lavorare ad Alcoy (Allcante), e più tardi si trasferì a Roma per studiare teologia presso l'Università Gregoriana. Rientrato In Spagna per le vacanze, lo sorprese la guerra e si rifugiò presso i genitori. Suo padre e suo fratello erano noti membri dell'Azione Cattolica e non molto tempo dopo vennero i miliziani e li portarono via tutti e tre su di un furgone. La mamma li corse dietro fino a cadere svenuta. Furono fucilati accanto alla strada, mentre loro si tenevano abbracciati. (Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Felice (Félix) Vivet Trabal, pregate per noi.  

 

6 Beato Giacomo Retouret - Sacerdote Carmelitano, Martire (26 agosto)

Limoges, Francia, 15 settembre 1746 - Madame Isle, La Rochelle, 26 agosto 1794
Martirologio Romano:
Al largo di Rochefort sulla costa francese, Beato Giacomo Retouret, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e martire, che, nel corso della rivoluzione francese, fu trascinato via dal convento di Limoges e gettato in una sordida galera, dove, lasciato quasi senza vesti, morì di notte assiderato.
Nacque a Limoges (Francia), il 15 settembre 1746 da una famiglia di commercianti. Fu un giovane serio, amante dei libri e di grandi doti. A quindici anni venne accolto nel convento carmelitano della sua città nativa.
Dopo l'ordinazione sacerdotale, il suo carattere fervido e serio attirò l'ammirazione di tanti fedeli, in modo particolare con la sua predicazione. Ma molto spesso non poteva adempiere a tutti i suoi impegni, soprattutto a causa di una cattiva salute che lo tormentò per tutta la vita.
La Rivoluzione francese non risparmiò la sua vita. Come la maggior parte del clero P. Jacques rifiutò il giuramento a sostegno di una legge civile approvata unilateralmente, che decretava l'elezione dei vescovi e dei parroci direttamente dal popolo e successivamente approvate dal vescovo o dal Papa.
Oltre a questa incriminazione, P. Jacques fu accusato di far parte di un gruppo di emigrati politici che avevano invaso il paese contro i rivoluzionari.
Fu arrestato e condannato, insieme a molti altri sacerdoti e religiosi, e costretto all'esilio nella Guinea francese dell'America del Sud. Fu deportato a Rochefort e segregato in una nave prigione. Intanto accadeva che gli inglesi bloccavano la costa francese e impedivano, quindi la partenza delle navi.
Le condizioni dei prigionieri sulle navi erano inimmaginabili: sovraffollamento, fame, malattie, freddo e caldo, odori insopportabili, persecuzioni.
P. Jacques Retouret morì a Madame Isle, alcuni miglia lontano da La Rochelle, il 26 agosto 1794 all'età di 48 anni.
É stato beatificato, insieme ad altri 63 sacerdoti e religiosi martiri per le fede, il 1 ottobre 1995 da Giovanni Paolo II. (Autore: Anthony Cilia Fonte: www.ocarm.org)
Giaculatoria - Beato Giacomo Retouret, pregate per noi.  


7 Santa Giovanna Elisabetta Bichier des Ages (26 agosto)

La Blanc, Francia, luglio 1773 - 26 agosto 1838
Giovanna Elisabetta Bichier nacque il 5 luglio 1773 nel castello degli Ages, nell'Indre, da una famiglia profondamente religiosa. Nel 1797 incontrò Andrea Uberto Fournet, curato di Maillé a cui affidò la direzione della sua anima.
Inizialmente attirata dalla austera vita religiosa (Trappa o Carmelo), su suggerimento di Fournet fondò invece una Congregazione il cui carisma era l'assistenza ai malati e l'educazione delle fanciulle. Nel 1807 nacque l'Istituto delle Figlie della Croce, che si sviluppò rapidamente.
Quando morì il 26 agosto 1838, Giovanna Elisabetta lasciava novantanove case in ventitré diocesi. Nonostante l'apparente serenità, Giovanna Elisabetta conobbe profonde sofferenze fisiche e morali, soprattutto dopo il 1815, anno in cui rimase invalida in seguito ad una operazione mal riuscita.
Profondamente devota all'Eucaristia, visse una spiritualità fondata sulla contemplazione della Croce. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Puy-en-Vélay presso Poitiers sempre in Francia, Santa Giovanna Elisabetta Bichier des Âges, vergine, che, durante la rivoluzione francese, aiutò sant’Andrea Uberto Fournet a svolgere clandestinamente il suo ministero e, restituita la pace alla Chiesa, fondò la Congregazione delle Figlie della Croce per l’istruzione dei poveri e l’assistenza ai malati.
Giovanna Elisabetta Bichier nacque il 5 luglio 1773 nel castello degli Ages, nell'Indre, da una famiglia profondamente religiosa. Venne allevata a Poitiers dalle religiose Ospedaliere la cui superiora, la signora di Bordin, era sua parente.
Durante la Rivoluzione francese, perdette suo padre (1792) e, malgrado le numerose privazioni, conservò il castello di famiglia, aiutando i preti refrattari dai quali continuava a ricevere i sacramenti.
Nel 1797 ella incontrò s. Andrea Uberto Fournet (v.), curato di Maillé ed a lui affidò la direzione della sua anima.
Attirata dapprima dalla più austera vita religiosa (Trappa o Carmelo) rispose tuttavia all'appello del suo direttore che la incitava a fondare una Congregazione che si occupasse soprattutto dell'assistenza ai malati e dell'educazione delle fanciulle.  Così nacque, nel 1807, l'Istituto delle Figlie della Croce, che si sviluppò rapidamente.
Nel 1820 la casa madre venne istallata nell'antica abbazia di La Puye, nel 1821 ne venne aperta una anche a Parigi e poi, soprattutto, altre nel paese basco, con l'aiuto del B. Michele Garicoits.
Quando morì il 26 agosto 1838, Giovanna Elisabetta lasciava novantanove case, ripartite in ventitré diocesi che contavano seicentotrentatré religiose.
Nonostante la sua apparente serenità, Giovanna Elisabetta conobbe profonde sofferenze fisiche e morali, soprattutto dopo il 1815, anno in cui una operazione mal riuscita la lasciò invalida. Visse così una spiritualità fondata sulla contemplazione della Croce e su di una grande devozione all'Eucaristia. Venne beatificata il 13 maggio 1934 da Pio XI e canonizzata il 6 luglio 1947 da Pio XII. Menzionata nel Martirologio Romano, viene festeggiata il 26 agosto. (Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Giovanna Elisabetta Bichier des Ages, pregate per noi.  


8 Beato Giovanni da Caramola (26 agosto)

Nato a Tolosa verso il 1280, venne in Italia, probabilmente in occasione del primo Anno Santo, celebrato nel 1300, stabilendosi nel territorio di Chiaromonte (PZ).
Le prime notizie certe della sua vita, desunte da un messale cistercense del 1300 , da una biografia scritta da un anonimo contemporaneo e dall'Opera di Gregorio De Lauro, Abate
dell'Abbazia Cistercense di Santa Maria del Sagittario, sempre nel territorio di Chiaromonte (scritta nel 1600) ce lo descrivono come un uomo di profonda religiosità, capace di ogni forma di austerità e di una carità senza limiti.
Dopo aver vissuto l'esperienza eremitica in vari luoghi del territorio di Chiaromonte (eremo di San Saba, Romitorio del Beato Giovanni e Caramola), entra definitivamente nell'Abbazia del Sagittario, dove continuò, da monaco converso, a condurre una vita di grande austerità, osservando un silenzio assoluto al punto che si diceva di Lui che fosse muto. In odore di santità già da vivo, per i molteplici miracoli operati e descritti nella sua biografia, morì il 26 agosto del 1338 (39).
La sua popolarità non cessò dopo la morte, anzi crebbe in modo indicibile anche per i tanti miracoli che si susseguirono per sua intercessione. Venne proclamato beato e ogni anno il 26 agosto si celebrava nell'Abbazia la sua festa con una messa propria e quotidianamente se ne faceva memoria alla Lodi e ai Vespri.
Il suo corpo, conservato intatto, era deposto nella Chiesa dell'Abbazia in una cappella a Lui dedicata.
Successivamente, nel 1500, venne sistemato in un'urna di legno, finemente lavorata e dorata. Numerose quarigioni miracolose si operarono sulla sua tomba. Dal 1808, a seguito della soppressione degli Ordini religiosi, la stessa urna, adeguatamente restaurata, contenente il Corpo del Beato, sempre intatto, così come è risultato dalla Ricognizione Canonica fatta nel 2002 si conserva nella Chiesa parrocchiale di Chiaromonte.
Dal 2002 è stata ripresa la tradizione di celebrare la festa in onore del Beato il 26 agosto.
Notizie più dettagliate circa la vita e i miracoli del Beato sono contenuti nel libro "La vita del Beato Giovanni da Caramola", traduzione in italiano dei testi latini delle sue biografie, conservati, insieme al prezioso messale cistercense del 1300, nella Chiesa Madre San Giovanni Battista di Chiaromonte.
Recapiti: Parrocchia S.Giovanni Battista-P.za Garibaldi - 85032 Chiaromonte (PZ) 0973 57122 -349 5591914
Giaculatoria - Beato Giovanni da Caramola, pregate per noi.  


9 Beato Giovanni Urgel - Mercederio (26 agosto)

+ 26 agosto 1513
Maestro Generale dell'Ordine Mercedario, il Beato Giovanni Urgel, fu eletto l'8 settembre 1492 e lo amministrò per 21 anni con grande zelo. Fondò molti conventi fra i quali quello di Oràn in Africa nel 1509 e li adornò con materiali sacri, visitando i conventi trovò che l'immagine della Vergine Maria della Mercede, ormai troneggiava sull'altare maggiore di quasi tutte la chiese mercedarie.Inviò i primi missionari in America con Cristoforo Colombo e nel 1503 fece stampare breviari e messali secondo le usanze proprie dell'Ordine perché fino ad allora molti frati usavano quelli che l'occasione offriva. Famoso per la santità della vita rese l'anima a Dio il 26 agosto del 1513 nel convento di Barcellona in Spagna.
L'Ordine lo festeggia il 26 agosto. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giovanni Urgel, pregate per noi.


10 San Guniforto - Martire - Venerato a Pavia (26 agosto)  

La passio fu pubblicata per la prima volta dal Mombrizio da un vecchio ms. conservato al Laterano; una copia di essa si trova in un ms. del sec. XIV conservato nella Biblioteca del Capitolo di Novara.
Il suo valore storico, però, è quasi nullo: si ignora il nome dell'autore, e l'epoca in cui egli scrisse; alcuni studiosi, come il Maiocchi e Siro Severino Capsoni, la pongono fra i secc. VIII e XI-XII.
L'autore, in ogni caso, è poco preciso: non dà nessuna indicazione cronologica, confonde pagani ed eretici; l'elemento fantastico predomina su quello storico e reale e le poche cose dette intorno al santo non ci permettono di vedere il profilo esatto della sua personalità.
Oriundo della Scozia (i. e. dell'Irlanda), Guniforto col fratello Guiniboldo e due sorelle, per sfuggire alla persecuzione, passò in Germania dove le sorelle furono uccise. Giunti a Como, fu ucciso il fratello e il solo Guniforto si recò a Milano Qui egli fu colpito da frecce: creduto morto e abbandonato, si trascinò fino a Pavia, dove fu raccolto da una donna cristiana e dopo tre giorni di agonia, morì nella sua casa. Come si può notare, la passio di Guniforto è una ripetizione in tono minore di quella di s. Sebastiano.
Gli studiosi hanno cercato di stabilire il tempo preciso del martirio di Guniforto, ma c'è divergenza fra di essi, provocata dalla confusione che la passio fa tra pagani ed eretici. Il Ferrari colloca il martirio di Guniforto, sotto Costanzo, il Dempster lo fa martirizzare da pagani però sotto Teodosio; il Tatti assegna il martirio del santo al tempo di Massimiano. Questa ultima affermazione è accettata dal bollandista Cuypers.
Le testimonianze permettono di affermare che a Guniforto è stato attribuito un culto ab immemorabili Una chiesa in suo onore era a Milano sul luogo del martirio: "habet tamen Guniforto Mediolani extra portam Ticinensem aedem sacram suo nomini dicatam" (P. P. Bosca, Martirologio Milanese, Milano 1695). A Pavia il suo corpo fu collocato dapprima "in ecclesia Sancte Marie que est apud sanctum Romanum maiorem". Di qui, nel corso di varie traslazioni, fu portato nella chiesa del monastero nuovo, poi nella parrocchia di S. Maria Gualtieri e infine nel 1790 nella basilica dei SS. Gervasio e Protasio. Nei tempi passati furono tributati a Guniforto onori liturgici quasi straordinari. Era invocato come protettore contro la peste; i Visconti destinarono alla chiesa di S. Guniforto vari proventi, tra cui quelli del dazio della pesa comunale di Pavia. Alla vigilia della sua festa, si celebrava una veglia di preghiera, che durava tutta la notte; gli universitari giuristi, solennizzavano la festa con una processione, con stendardo e corpo musicale; una congregazione di Disciplinati, con vita spirituale molto intensa, aveva il suo centro nella chiesa di S. Guniforto.
La festa che gli agiografi hanno sempre assegnato al 22 agosto è attualmente celebrata nella diocesi di Pavia, il 26 dello stesso mese. (Autore: Virgilio Noè - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guniforto, pregate per noi.


11 Beata Lorenza (Leukadia) Harasymiv - Vergine e Martire (26 agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene la Beata Lorenza Harasymiv: “Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini”
Rudnyky, Ucraina, 31 dicembre 1911 – Kharsk, Siberia, Russia, 26 agosto 1952
Martirologio Romano:
Nella cittadina di Kharsk vicino a Tomsk nella Siberia in Russia, Beata Lorenza (Leucadia) Harasymiv, vergine della Congregazione delle Suore di San Giuseppe, che durante il regime di oppressione perpetrato in patria dai persecutori della fede fu deportata in questo campo di prigionia, dove con la sua morte gloriosa unì alla purezza della sua vita la perseveranza nella fede. Leukadia Harasymiv nacque il 31 dicembre 1911 nel villaggio ucraino di Rudnyky, nella provincia di Lviv (Leopoli). Nel 1931 entrò nella Congregazione delle Suore di San Giuseppe e dopo due anni emise i suoi primi voti assumendo il nome religioso di Laurentia. Nel 1951 fu arrestata dagli agenti del KGB, inviata a Borislav e poi deportata e rinchiusa prigioniera nella fortezza di Kharsk, presso Tomsk, nella provincia russa della Siberia. Qui, nonostante la sua flebile salute, divise una cella con un paralitico affetto da tubercolosi, che tutti avevano rifiutato per paura di contagio. Sopportò con pazienza condizioni di vita disumane, continuando a pregare intensamente sino al 28 agosto 1952, giorno del suo glorioso martirio con il quale coniugò la fermezza della fede alla purezza che aveva contraddistinto l’intera sua vita. Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina. (Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Lorenza Harasymiv, pregate per noi.


12 Beati Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini - Sposi (26 agosto e 9 novembre)

Catania, 12 gennaio 1880 - Roma, 9 novembre 1951
Firenze, 24 giugno 1884 - Serravalle (AR), 26 agosto 1965

Luigi Beltrame nacque a Catania il 12 gennaio 1880; adottato da uno zio senza figli, che gli dà il suo cognome, Quattrocchi, si trasferisce con lui a Roma dove studia Giurisprudenza. Qui conosce Maria Luisa Corsini, figlia unica di genitori fiorentini, di quattro anni più giovane.
Le nozze vengono celebrate nella Basilica di S. Maria Maggiore il 25 novembre 1905. L’anno seguente nasce il primo figlio, Filippo, seguito da Stefania (nel 1908), Cesare (1909) ed Enrichetta (1914); crescendo abbracceranno tutti la vita religiosa. Luigi fu avvocato generale dello Stato; Maria, una scrittrice assai feconda di libri di carattere educativo.
Il Papa li ha beatificati il 21 ottobre 2001, nel ventesimo anniversario della Familiaris Consortio. In quell’occasione, per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo visto elevata alla gloria degli altari una coppia di sposi, beati non “malgrado” il matrimonio, ma proprio in virtù di esso.
Martirologio Romano: 26 agosto: A Roma, Beata Maria Beltrame Quattrocchi, che, madre di famiglia, visse con suo marito una vita di profonda e lieta comunione di fede e di carità verso il prossimo, illuminando con la luce di Cristo la famiglia e la società.
9 novembre: A Roma, beato Luigi Beltrame Quattrocchi, che, padre di famiglia, nelle faccende pubbliche come in quelle private osservò i comandamenti di Cristo e li proclamò con diligenza e probità di vita.
Il 12 febbraio 1994, nel dare inizio presso il Tribunale per le Cause dei Santi del Vicariato di
Roma alla loro causa di canonizzazione, il Cardinale Vicario Camillo Ruini così li presentava: "I due avevano cristianamente consacrato il loro amore coniugale e la grazia del sacramento nuziale li ha sempre sostenuti mirabilmente nel formare e crescere la loro famiglia…”.
Ed il S. Padre si è mostrato particolarmente lieto di questa circostanza perché da tanto tempo desiderava un cammino di santità, da additare al popolo dei fedeli, realizzato da una coppia di sposi.
Non hanno fondato congregazioni. Non sono partiti missionari per terre lontane. Semplicemente hanno vissuto il loro matrimonio come un cammino verso Dio facendosi santi.
Il Papa li ha beatificati il 21 ottobre scorso, nel ventesimo anniversario della Familiaris Consortio.
In quell’occasione, per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo visto elevata alla gloria degli altari una coppia di sposi, Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, beati non “malgrado” il matrimonio, ma proprio in virtù di esso.
La beatificazione dei coniugi Quattrocchi è avvenuta, non a caso, in occasione della giornata della famiglia, segnando una svolta, per così dire “storica”, sul modo comune di concepire la santità: non più soltanto appannaggio di suore, sacerdoti e singoli fedeli, ma un cammino aperto e praticabile da tutti gli sposi cristiani, sulla scia dei neo-beati, una coppia borghese che visse a Roma nella prima metà del Novecento.
Luigi Beltrame era nato a Catania il 12 gennaio 1880; adottato da uno zio senza figli, che gli dà il suo cognome, Quattrocchi, si trasferisce con lui a Roma dove studia Giurisprudenza.
Qui conosce Maria Luisa Corsini, figlia unica di genitori fiorentini, di quattro anni più giovane. Una ragazza piena di doti: colta, sensibile e raffinata, amante della letteratura e della musica, a vent’anni aveva già pubblicato un saggio su Dante Gabriele Rossetti e i preraffaelliti.
Le nozze vengono celebrate nella Basilica di S. Maria Maggiore il 25 novembre 1905. L’anno seguente nasce il primo figlio, Filippo, seguito da Stefania (nel 1908), Cesare (1909) ed Enrichetta (1914). Crescendo abbracceranno tutti la vita religiosa: Filippo (don Tarcisio), sarà sacerdote diocesano, Stefania (suor Maria Cecilia), monaca benedettina, Cesare (padre Paolino), monaco trappista, ed Enrichetta, l’ultima nata, consacrata secolare. Ad eccezione di Stefania, scomparsa nel 1993, i fratelli sono ancora viventi e di veneranda età, attivi e lucidissimi nel far memoria della santità dei loro genitori, che furono sposi ed educatori davvero esemplari.
Lui, Luigi, avvocato generale dello Stato, fu professionista stimato e integerrimo; lei, Maria, una scrittrice assai feconda di libri di carattere educativo. Entrambi avevano a cuore i problemi della società e della nazione: animatori dei gruppi del Movimento di Rinascita Cristiana, avevano aderito anche al Movimento “Per un mondo migliore” di P. Lombardi. Luigi fu amico di Don Sturzo e di Alcide De Gasperi; senza mai prendere una tessera di partito, esercitò l’apostolato nella testimonianza cristiana offerta nel proprio ambiente di lavoro, laicista e refrattario alla fede, nella profonda bontà che ebbe nel trattare con tutti, soprattutto i “lontani”, nella sollecitudine costante verso i bisognosi che bussavano quotidianamente alla loro porta di casa, in Via Depretis, sul colle Viminale.
Lei, infermiera volontaria della Croce Rossa, durante le due guerre si prodigò instancabilmente per i soldati feriti; catechista attivissima per le donne del popolo nella parrocchia di S. Vitale, organizzò i corsi per fidanzati, autentica novità pastorale per quei tempi, quando il matrimonio veniva considerato come qualcosa di scontato, che non esigeva approfondimento nè preparazione. Maria svolse anche un’intensa opera di apostolato con la penna, fece parte dell’Azione Cattolica e di altre associazioni, appoggiò inoltre la nascita dell’Università Cattolica del S. Cuore, accanto a P. Agostino Gemelli e Armida Barelli, chiamata a far parte del Consiglio Centrale dell’Unione Femminile Cattolica Italiana come incaricata nazionale per la religione.
Non è certo possibile riassumere in poche righe la straordinaria vicenda umana e spirituale dei coniugi Beltrame Quattrocchi. La loro esistenza di sposi fu un cammino di santità, un andare verso Dio attraverso l’amore del coniuge. Mezzo secolo di vita insieme, senza mai un attimo di noia, di stanchezza, ma conservando sempre il sapore continuo della novità. Il loro segreto? La preghiera.
Ogni mattina a Messa insieme alla Basilica di S. Maria Maggiore, “usciti di chiesa mi dava il “buon-giorno”, come se la giornata soltanto allora avesse il ragionevole inizio. Ed era vero…”, ricorda lei in Radiografia di un matrimonio, il suo libro-capolavoro. La recita serale del S. Rosario, l’adorazione notturna, la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù solennemente intronizzato al posto d’onore nella sala da pranzo, e altre pie pratiche. Nel 1917 divennero terziari francescani e nel corso della loro vita non mancarono mai di accompagnare gli ammalati, secondo le loro possibilità, a Loreto e a Lourdes col treno dell’UNITALSI, lui come barelliere, lei come infermiera e dama di compagnia.
Il loro esempio, la loro profonda vita di fede, la pratica quotidiana del pregare in famiglia ebbero di certo i propri effetti sui figli, che si sentirono tutti e quattro chiamati dal Signore alla vita consacrata. Non senza ragione, perché “la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio”, come giustamente ha sostenuto il S. Padre nell’Esortazione apostolica Familiaris Consortio (n. 53), che consigliamo ai nostri lettori di leggere, specie i padri e madri di famiglia, giacchè il testo costituisce un po’ la magna charta della pastorale familiare della Chiesa del terzo millennio.
Nel progetto di Dio il matrimonio è vocazione alla santità e offre tutti i mezzi per raggiungerla. La santità del terzo millennio che la Chiesa ci addita parla proprio il linguaggio della famiglia. “Si è santi – ha detto infatti P. Giordano Muraro - non perché si vive in chiostri odorosi di incenso, salmodiando o curando infermi: ma perché si ama. E l’amore è possibile a tutti. Anzi: il matrimonio e la famiglia sono naturalmente luoghi di amore…
Non si ama un generico “prossimo” ma questa persona che è mio marito, mia moglie, mio figlio, il mio genitore, mio fratello. Non sono io che scelgo il momento e il modo, ma è l’altro che si presenta qui, ora, ogni giorno.
Lo sposato può dire a se stesso: Dio mi ha mandato nella vita della persona di cui mi sono innamorato, e chiede di servirsi del mio cuore, del mio affetto, della mia tenerezza, della mia dedizione, del mio amore, per portare in lei, in lui, la Sua vita e la Sua salvezza.  (Autore: Maria Di Lorenzo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, pregate per noi.  


13 Madonna di Czestochowa (26 agosto)  

Il tesoro più prezioso di Jasna Gòra è il Quadro Miracoloso della Madonna. Ciò che rese in breve tempo Jasna Gòra il più famoso santuario del paese, che già contava numerosi luoghi di culto mariano, non fu forza della tradizione che vuole l'Evangelista Luca autore del quadro, né la perlazione dei reali che da sempre avevano cara Jasna Gòra: Ciò che rese questo luogo famoso è la presenza miracolosa dell'Immagine che ha sempre richiamato pellegrini da tutta la Polonia e dal mondo intero, come attestano i numerosissimi ex-voto.
Sui dolci pendii di Jasna Gòra, la “montagna luminosa”, che circonda la città di Czestochowa, il santuario è adagiato su una collina di bianche rocce, nella parte occidentale della città. I polacchi sono abituati a legare a questo Santuario le numerose vicende della loro vita: i momenti lieti come quelli tristi, le decisioni solenni, come la scelta del proprio indirizzo di vita, la vocazione religiosa oppure il matrimonio, la nascita dei figli, gli esami di maturità... Essi si sono abituati a venire con i loro problemi a Jasna Gòra per confidarli alla Madre Celeste, davanti alla sua Immagine Miracolosa. Questa Immagine si può dire che è il cuore del santuario di Jasna Gòra ed è anche quella forza, misteriosa e profonda, che attira ogni anno folle sterminate di pellegrini, dalla Polonia e da ogni altro luogo del mondo.
Il dipinto della Madonna ha una storia complessa. La tradizione dice infatti che sia stato realizzato da San Luca su di un legno che formava il tavolo adoperato per la preghiera e per il cibo dalla Sacra Famiglia. L’evangelista avrebbe composto a Gerusalemme due quadri allo scopo
di tramandare l’incomparabile bellezza di Maria. Uno di essi, arrivato in Italia, è tuttora oggetto di culto a Bologna; l’altro, fu dapprima portato a Costantinopoli e deposto in un tempio dall’imperatore Costantino. Successivamente fu donato al principe russo Leone, che prestava servizio nell'esercito romano, il quale trasferì l’inestimabile reliquia in Russia dove, per numerosi miracoli, fu intensamente venerata.
Nel corso della guerra intrapresa da Casimiro il Grande, il quadro fu nascosto nel castello di Beltz e finalmente affidato ai principe di Opole. Questi, alla vigilia di una dura battaglia contro le truppe tartare e lituane che assediavano Beltz, aveva invocato la sacra immagine e, dopo la sospirata vittoria, indicò Maria come Madre e Regina. Si racconta anche che, durante l’assedio, un tartaro ferisse con una freccia il bellissimo volto della Vergine dalla parte destra e che, dopo la sacrilega profanazione, una fittissima nebbia, sorta d'improvviso, mettesse in difficoltà gli assedianti. Il principe, allora, approfittando del momento favorevole, si gettò con le truppe contro il nemico e lo sconfisse.
Altri documenti assicurano che, terminata l’amministrazione del principe Ladislao nella Russia, il quadro fu caricato su di un carro con l’intenzione di portarlo nella Slesia ma, tra lo stupore di tutti, i cavalli, pur ripetutamente sferzati, non si muovevano. Il principe ordinò allora di attaccarne di nuovi, senza però ottenere alcun risultato. Sconvolto, si inginocchiò a terra e promise di trasferire la venerata effigie sul colle di Czestochowa, nella piccola chiesa di legno. In seguito egli avrebbe innalzato una basilica nel medesimo luogo ad onore di Dio onnipotente, della Vergine Maria e di tutti i Santi e, contemporaneamente realizzato un convento per i frati eremiti dell’Ordine di San Paolo.
Ma le vicissitudini della Madonna Nera non erano ancora finite. Nel 1430 alcuni seguaci dell’eretico Giovanni Hus, provenienti dai confini della Boemia e Moravia, sotto la guida dell’ucraino Federico Ostrogki, attaccarono e predarono il convento. Il quadro fu strappato dall’altare e portato fuori dinanzi alla cappella, tagliato con la sciabola in più parti e la sacra icona trapassata da una spada. Gravemente danneggiato, fu perciò trasferito nella sede municipale di Cracovia e affidato alla custodia del Consiglio della città; dopo un accurato esame, il dipinto venne sottoposto ad un intervento del tutto eccezionale per quei tempi, in cui l’arte del restauro era ancora agli inizi. Ecco allora come si spiega che ancora oggi siano visibili nel quadro della Madonna Nera gli sfregi arrecati al volto della Santa Vergine.
Secondo i critici d’arte il Quadro di Jasna Gòra sarebbe stato in origine un’icona bizantina, del genere “Odigitria” (“Colei che indica e guida lungo la strada”), databile tra il VI e il IX secolo. Dipinta su una tavola di legno, raffigura il busto della Vergine con Gesù in braccio. Il volto di Maria domina tutto il quadro, con l’effetto che chi lo guarda si trova immerso nello sguardo di Maria: egli guarda Maria che, a sua volta, lo guarda.
Anche il volto del Bambino è rivolto al pellegrino, ma non il suo sguardo, che risulta in qualche modo fisso altrove. I due volti hanno un’espressione seria, pensierosa, che dà anche il tono emotivo a tutto il quadro. La guancia destra della Madonna è segnata da due sfregi paralleli e da un terzo che li attraversa; il collo presenta altre sei scalfitture, due delle quali visibili, quattro appena percettibili.
Gesù, vestito di una tunica scarlatta, riposa sul braccio sinistro della Madre. La mano sinistra tiene il libro, la destra è sollevata in gesto di sovranità e benedizione. La mano destra della Madonna sembra indicare il Bambino. Sulla fronte di Maria è raffigurata una stella a sei punte. Attorno ai volti della Madonna e di Gesù risaltano le aureole, la cui luminosità contrasta con l’incarnato dei loro visi.
Dopo la profanazione e il restauro, la fama del santuario crebbe enormemente e aumentarono i pellegrinaggi, a tal punto che la chiesa originaria si rivelò insufficiente a contenere il numero dei fedeli. Per questo motivo, già nella seconda metà del secolo XV, accanto alla Cappella della Madonna, fu dato avvio alla costruzione di una chiesa gotica a tre ampie navate.
Nel 1717 il quadro miracoloso della Madonna di Jasna Góra fu incoronato col diadema papale e, a cominciare dal secolo scorso, numerose chiese a lei dedicate furono erette in tutto il mondo: attualmente se ne contano circa 350, di cui 300 soltanto nella Polonia.
La fama sempre crescente dell’immagine miracolosa della Madre di Dio fece sì che l’antico monastero diventasse nel corso degli anni mèta costante di devoti pellegrinaggi. Il culto della Madonna Nera di Czestochowa si è esteso così fino al continente americano, in Australia, in Africa e anche in Asia. Una devozione che non ha confini, che ha toccato il cuore di molti, e che è stata particolarmente cara – come ogni polacco che si rispetti – al nostro venerato Santo Padre, Giovanni Paolo II, che di Maria è sempre stato il devoto più fedele. (Autore: Maria Di Lorenzo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Madonna di Czestochowa, intercedete per noi.  


14 Beata Maria de los Angeles Ginard Martì - Vergine e Martire (26 agosto)
Lluchmayor, Mallorca, Isole Baleari, 3 aprile 1894 - Dehesa de la Villa, Madrid, 26 agosto 1936
Suor Maria de los Angeles, al secolo Angela Ginard Martí, religiosa professa della Congregazione delle Suore Zelatrici del Culto Eucaristico, nata il 3 aprile 1894 nella cittadina di Lluchmayor, Diocesi di Mallorca (Spagna), fu uccisa a Dehesa de la Villa, sobborgo di Madrid (Spagna) nel 1936, vittima della persecuzione religiosa della Guerra Civile Spagnola. Riconosciutone il martirio “in odium fidei” il 19 aprile 2004, è stata beatificata il 29 ottobre 2005 in San Pietro sotto il pontificato di Benedetto XVI.
Emblema: Palma
In concomitanza con la Guerra Civile del 1936-39, si scatenò in Spagna una vera e propria persecuzione contro la Chiesa Cattolica, che provocò una strage di vescovi, sacerdoti, suore, religiosi, chierici e fedeli, uccisi prevalentemente nelle province in cui operarono le milizie rosse.
La Chiesa sta beatificando singolarmente o a gruppi, molti di questi martiri appartenenti al clero diocesano, Istituti e Congregazioni religiose maschili e femminili. E nel numero di queste vittime di una barbarie cieca e antireligiosa, appartiene la suora della Congregazione delle Zelatrici del Culto Eucaristico, Maria de Los Angeles Ginard Martí.
Nacque il 3 aprile 1894 a Llucmajor nella diocesi di Maiorca, nelle Isole Baleari (Spagna), al battesimo le fu dato il nome di Angela Sebastiana, terza dei nove figli di Sebastiano Ginard Garcia, capitano del Corpo della Guardia Civile e di Margherita Martí Canals, genitori ferventi cattolici.
La fanciullezza di Angela Ginard trascorse tra Llucmajor, Las Palmas e Binisalem, dove fece la Prima Comunione il 14 aprile 1905; con le due sorelle maggiori prese a fare lavori di cucito, per cooperare al sostegno della famiglia, allo stesso tempo andò maturando in lei la decisione di consacrarsi a Dio, conducendo una vita pia e riservata.
Verso i 20 anni Angela Ginard, chiese ai genitori il permesso di entrare fra le suore Gerolamine di S. Bartolomeo di Inca, dove vi era già una zia della mamma, ma i genitori abbastanza contrari, specie il padre, le consigliarono di attendere ancora e di pensarci bene.
A 27 anni nel 1921, alleggerite le esigenze economiche della famiglia, con il sospirato consenso dei genitori entrò il 26 novembre nel postulantato delle Suore Zelatrici del Culto Eucaristico di Palma de Maiorca, fra le quali si trovò subito a suo agio, perché l’adorazione del Ss. Sacramento, fine principale dell’Istituzione, la riempiva tutta, era la sua vita, dalla quale attingeva le forze per adempiere ai lavori comunitari, che espletava con umiltà, obbedienza e sollecitudine.
Vestì l’abito religioso nel 1922, prendendo il nome di suor Maria de Los Angeles e dopo l’anno del Noviziato nel 1923 emise la professione temporanea; dopo tre anni, nel 1926 fu trasferita alla Casa di Madrid con l’incarico di economa.
Nel 1929 era destinata a Barcellona come prima consigliera di quella Casa, dove fece la professione solenne; nel 1932 sempre come economa e consigliera, ritornò a Madrid.
Visse con gioia e dedizione la sua consacrazione religiosa, sempre precisa nell’adempimento del proprio dovere e nell’esercizio delle virtù cristiane.
E a Madrid la sorprese lo scoppio della sanguinaria Guerra Civile, inizialmente si cercò di condurre una vita normale, ma poi con l’incalzare del pericolo, la comunità delle Suore Zelatrici del Culto Eucaristico, lasciò il convento il 20 luglio 1936.
Le suore erano vestite con abiti civili e si rifugiarono in case di fedeli cattolici; suor Maria degli Angeli si rifugiò presso una famiglia di via Monte Esquinza 24, da dove poté assistere al saccheggio del convento e della chiesa; rimase in quella casa fino al 25 agosto, quando fu scoperta ed arrestata dai miliziani rossi, informati dal portinaio loro affiliato.
Durante l’irruzione, i miliziani arrestarono la sorella del padrone di casa, signora Amparo, ma suor Maria degli Angeli intervenne dicendo che la signora non era una monaca, ma bensì lo era lei, così si sacrificò coscientemente, salvando la vita di quella signora.
Portata prima alla Checa della Belle Arti, fu spostata poi nella località Dechesa de la Villa, un sobborgo di Madrid e qui fucilata, probabilmente la sera del 26 agosto 1936.
Il cadavere fu recuperato il mattino seguente e seppellito nel cimitero dell’Almudena; il 20 maggio 1941 i suoi resti furono esumati e traslati nella cappella funeraria delle Zelatrici del Culto Eucaristico situata nello stesso cimitero.
Il 19 dicembre 1985 i resti mortali furono traslati nel convento delle Zelatrici di via Blanca di Navarra a Madrid. Il processo per la sua beatificazione si aprì a Madrid il 28 aprile 1987; a conclusione della lunga causa, si è avuta nel 2005 la proclamazione a beata della venerabile suor Maria degli Angeli.
E' stata beatificata il 29 ottobre 2005 in San Pietro sotto il pontificato di Benedetto XVI. (Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei santi)
Giaculatoria - Beata Maria de los Angeles Ginard Martì, pregate per noi.

 

15 Beata Maria di Gesù Crocifisso (Mariam Baouardy) - Carmelitana (26 agosto)  
Abellin, Galilea, 5 gennaio 1846 - Betlemme, 26 agosto 1878
Mariam Baouardy nacque ad Abellin in Galilea il 5 gennaio 1846, da genitori molto poveri ma altrettanto onesti e pii cristiani greco-cattolici. Rimasta orfana di entrambi i genitori a soli tre anni di età insieme al fratello Paolo, venne affidata ad uno zio paterno, che alcuni anni dopo si trasferì ad Alessandria d'Egitto. Non ricevette alcuna istruzione scolastica: era analfabeta. A tredici anni, per il desiderio di appartenere solo a Dio, rifiuta con fortezza il matrimonio che, secondo le consuetudini orientali, le aveva preparato lo zio. Seguirono alcuni anni durante i quali lavora come domestica ad Alessandria, Gerusalemme, Beirut e Marsiglia. Qui all'inizio della Quaresima del 1865, entrò dalle Suore della Compassione, ma ammalatasi dovette lasciare dopo due mesi. Fu poi accolta nell'Istituto delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, ma dopo due anni di postulandato ne fu dimessa, essendo stata giudicata più adatta per la vita claustrale. Fu così che il 14 giugno 1867 arrivò al Carmelo di Pau. Il 21 agosto 1870, ancora novizia, partì per l'India per la fondazione di un Carmelo a Mangalore. Il 21 novembre 1871 fece la sua professione religiosa. Un anno dopo fu rimandata a Pau, da dove partì con altre religiose nell'agosto 1875 per Betlemme, per la fondazione del primo Carmelo in terra di Palestina. Morì il 26 agosto 1878 a Betlemme a causa di una cancrena contratta in seguito ad una frattura prodotta da una caduta.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 13 novembre 1983.
Martirologio Romano: Nella città di Betlemme in Terra Santa, beata Maria di Gesù Crocifisso (Maria) Baouardy, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, che, ricca di mistici doni, unì la vita contemplativa a una straordinaria carità.
Facendo riferimento alla bella introduzione, della biografia della Beata Maria di Gesù Crocifisso, inserita nel volume “Santi del nostro tempo”, di padre Antonio Maria Sicari, carmelitano scalzo; non si può non rimanere meravigliati del provvidenziale intervento di Dio, che suscita in periodi particolari della storia dell’uomo e dell’evoluzione del suo pensiero, figure di santità che sconvolgono con la loro vita, l’ideologia atea, modernista, rinnegatrice di Dio, imperante nel loro tempo.
Spesso queste figure sante sono persone semplici, e la loro semplicità è tanto più potente, perché sconvolge la presunzione, la superbia, l’arroganza di potenti e pseudo-sapienti.
A questa mirabile categoria appartenne Mariam Baouardy, la quale nacque ad Abellin in Galilea, tra Nazareth e Haifa, il 5 gennaio 1846 da una famiglia araba ma cattolica, di rito greco-melchita.
I genitori Giorgio Baouardy (lavoratore della polvere da sparo) e Mariam Chahyn, erano ferventi credenti ma infelici, perché avevano perso ben dodici figli, morti in tenerissima età.
Un giorno intrapresero un pellegrinaggio di 170 km a piedi, diretti a Betlemme per pregare sulla culla di Gesù Bambino, chiedendo alla Santa Vergine il dono di una figlia, che avrebbero chiamata Mirjam in suo onore.
Il loro desiderio fu esaudito e nove mesi dopo nacque la bimba, che fu battezzata e cresimata nello stesso giorno, secondo il rito orientale; un anno dopo nacque anche un maschietto, Baulos (Paolo).
Ma la felicità dopo tante angosce, fu di breve durata, quando Mirjam o Mariam non aveva ancora tre anni, morì il padre e dopo pochi giorni anche la mamma per il dolore.
I due orfani furono adottati da parenti, Mariam da uno zio paterno e il fratellino da una zia materna residente in un vicino villaggio.
Nel 1854 quando Mariam aveva otto anni, lo zio si trasferì ad Alessandria d’Egitto portandola con sé, così i due fratellini non si rividero più.
L’infanzia trascorse con tranquillità, fece la Prima Comunione un paio d’anni prima del tempo fissato, perché dietro le sue insistenze, il prete distrattamente disse di sì.
Non ebbe un’istruzione (soltanto molto più tardi imparò a leggere e scrivere stentatamente); cresceva nella sua semplicità e umiltà come un angelo; in un momento di sconforto per la morte di due uccellini che accudiva, avvertì dentro di sé una voce: “Vedi, tutto passa! Ma se tu vuoi dare a me il tuo cuore, io resterò con te per sempre”.
Verso i dodici anni fu fidanzata a sua insaputa, secondo l’uso orientale, ad un cognato dello zio e quando aveva 13 anni le dissero che era arrivato il momento del matrimonio; giunse il fidanzato portando ricchi gioielli e la sua famiglia adottiva le preparò vesti ricamate e sontuose.
Ma Mariam non voleva affatto sposarsi e lo comunicò agli stupiti zii, questi non capivano il perché e pensando ad un capriccio di adolescente, coinvolsero il prete e il vescovo della comunità, affinché la convincessero ad ubbidire a loro; ma tutto fu inutile, quando il giovane proveniente dal Cairo, si presentò per la cerimonia, tutti aspettavano che Mirjam uscisse dalla sua stanza in abiti nuziali, invece lei si presentò con i lunghi capelli recisi, deposti in un vassoio.
Questo gesto l’espose all’ira degli zii, i quali la relegarono in cucina tra le schiave di casa e soggetta alle loro prepotenze.
Dopo tre mesi la ragazza si ricordò del fratello Baulos rimasto in Palestina e tentò di mettersi in contatto con lui.
Si fece scrivere una lettera di nascosto e una sera si recò a portarla ad un servo arabo musulmano, conosciuto in casa degli zii e che sapeva in procinto di partire per Nazareth.
Ma a casa di quest’uomo ci fu una sgradita sorpresa, la famiglia inizialmente l’accolse con gentilezze e ascoltò le sue peripezie familiari, poi l’uomo nell’ascoltarla si incolleriva sempre più e alla fine esortò Mirjam a lasciare il cristianesimo e convertirsi all’Islam.
La ragazza oppose un fiero rifiuto: “Musulmana io? Mai! Sono figlia della Chiesa Cattolica e spero di restare tale per tutta la vita”.
In quel tempo gli odi religiosi erano violenti e pronti a scoppiare per un niente; la risposta imbestialì l’uomo che le sferrò un violento calcio, che la fece stramazzare a terra e poi con la scimitarra le diede un fendente alla gola.
Credendola morta, Mariam fu avvolta in un lenzuolo e depositata in un’oscura stradina. Cosa accadde poi, lo rivelò molti anni dopo la stessa Mariam, come in un sogno le sembrò di essere in Paradiso e aveva rivisto i suoi genitori; una voce le aveva detto: “Il tuo libro non è ancora tutto scritto”; risvegliatosi si era trovata in una grotta assistita e curata da una giovane donna, che come una suora portava un velo azzurro. Dopo circa quattro settimane, quella donna l’aveva condotta alla chiesa dei Francescani lasciandola lì.
Maria Baouardy raccontò sempre, che per lei era la Vergine che l’aveva curata e mostrava la lunga cicatrice che le attraversava il collo; in effetti 16 anni dopo, un celebre medico non credente, che l’aveva visitata a Marsiglia, constatò che le mancavano alcuni anelli della trachea, esclamando disse: “Un Dio ci deve essere, perché nessuno al mondo, senza un miracolo, potrebbe vivere dopo una simile ferita”.
Mariam celebrava sempre con solennità la festa della Natività di Maria, in ricordo di quell’otto settembre, quando fu ferita così gravemente.
Abbandonata ormai la famiglia adottiva, con l’aiuto di un francescano, Mariam a 13 anni si mise al servizio come domestica di famiglie non agiate, ad Alessandria, Beirut, Gerusalemme, dove sul Santo Sepolcro emise il voto di castità perpetua; si spostava volontariamente presso famiglie sempre più bisognose, fino a prendersi cura di una famigliola malata e ridotta in miseria, per la quale si mise lei stessa a mendicare.
Nel 1863, la famiglia siriana Nadjar presso la quale serviva, si trasferì a Marsiglia in Francia, portando con sé la diciassettenne Mariam, analfabeta.
Qui avvertì più chiaramente la chiamata di Dio ad una vita consacrata; non riuscì ad entrare fra le Figlie della Carità, a causa dell’intervento della sua padrona, che non voleva perderla.
Nel 1865 a 19 anni, fu ammessa fra le postulanti delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione; non poteva offrire altro che il suo lavoro manuale, per le incombenze più pesanti, a cui non si sottraeva, anzi anticipava le altre consorelle, tranquillizzandole nel suo approssimativo francese, dava del ‘tu’ a tutti e questa fu la sua caratteristica per sempre.
Stava quasi sempre in lavanderia o cucina, ma in questi luoghi cominciò ad andare in estasi e aveva visioni; il giovedì e venerdì, comparivano sulle mani e piedi, stimmate sanguinanti, la prima volta fu il 29 marzo 1867; Mariam credeva che si trattasse di una malattia e vergognandosene, nascondeva le ferite con cura; credendo che potesse trattarsi di lebbra, visto che in Palestina aveva contattato dei lebbrosi, raccomandava alla Madre Superiora di stare lontana da lei, ma la Madre che aveva compreso l’eccezionalità del fenomeno, la tranquillizzava.
Ma qualche mese dopo, sempre nel 1867, in assenza della Madre Generale, che la capiva e proteggeva, fu allontanata dall’Istituto, perché i suoi fenomeni turbavano troppo la comunità, consigliandola di entrare in un Istituto di vita contemplativa, più adatta per lei.
Il 14 giugno 1867 Mirjam entrò nel Carmelo di Pau (Bassi Pirenei), presentata dalla sua vecchia maestra di noviziato, suor Veronica della Passione, che garantiva e dichiarò poi “quella piccola araba era obbediente fino al miracolo”.
Il 27 luglio 1867, indossò l’abito carmelitano, prendendo il nome di Maria di Gesù Crocifisso; la sua condizione di analfabeta la relegava fra le converse e per lei che voleva solo servire, andava bene così; ma fu deciso invece di ammetterla come corista e la obbligarono ad imparare a leggere e scrivere, purtroppo senza successo, per cui nel 1870 ritornò conversa.
Intanto continuavano le estasi, lei se ne vergognava, convinta che non sapesse resistere al sonno e si addormentava; non riusciva a completare una preghiera, come iniziava, dopo qualche strofa, diceva lei, si addormentava.
Le stimmate sanguinavano nel giorno della Passione di Cristo, e si era aperta una piaga sul costato simile a quella di Gesù in croce.
A 21 anni ne dimostrava dodici, tanto era minuta e come una bambina ne possedeva il candore senza conoscere alcuna malizia.
Con le sue visioni, ebbe la facoltà di prevedere alcuni attentati contro il papa Pio IX, come la distruzione della caserma pontificia ‘Serristori’ di Borgo Vecchio, che saltò in aria il 23 ottobre 1869, da allora la Santa Sede prese ad interessarsi di quella novizia in Francia.
Il 21 agosto 1870 fu inviata insieme ad altre carmelitane a fondare il primo Carmelo a Mangalore in India, anche in terra di missione, aveva gli straordinari fenomeni, che lei cercava di nascondere e benché fosse impedita nel fisico prostrato, non mancava ai suoi doveri in cucina e nei lavori pesanti; spesso sembrava che il demonio prendesse possesso di lei, alternando momenti di manifestazioni straordinarie di grazia.
Con l’andare del tempo, la cosa impensierì sia la superiora che il vescovo, che l’accusarono di essere una visionaria, di ferirsi col coltello, di avere una troppa fervida immaginazione orientale, e forse di essere un’indemoniata.
A Mariam, Satana le faceva commettere, ma solo esteriormente, serie mancanze contro la Regola, questo capitava proprio a lei che era sempre stata di un’obbedienza esemplare; le sembrava a volte di essere immersa in un lago circondato da serpenti e la Madonna le diceva: “Io sono tua Madre. Ti metto io in quest’acqua. Non ti muovere. Tu non mi vedrai, ma io veglierò su di te”.
Alla fine nel settembre 1872 fu rimandata al Carmelo di Pau in Francia; riprendendo la semplice vita di conversa, fatta di tanto lavoro intervallato dagli episodi prodigiosi; illetterata com’era, componeva bellissime poesie incantata dalla natura e inventava strane e dolci melodie per cantarle.
Intanto i prodigi continuavano a Pau; per sei giorni consecutivi fra luglio e agosto 1873, fu trovata in cima ad un gigantesco tiglio, poggiata sui debolissimi rami; solo quando la superiora, a voce alta le ordinava di scendere, lei leggera, quasi senza toccare i rami e le foglie, scendeva e si ridestava dall’estasi, raccontando che Gesù le tendeva le mani e la sollevava mentre saliva, ma in genere non ricordava nulla di tutto ciò, le consorelle con premura non le dicevano niente, facendogli trovare ai piedi dell’albero altri sandali, velo, cintura, che le erano rimasti impigliati negli alti rami.
Nello stesso 1872 confidò ai Superiori, che il Signore voleva un Carmelo a Betlemme in Terra Santa, assicurando che le grandi difficoltà sarebbero state superate.
Papa Pio IX in persona autorizzò la fondazione e così nell’agosto del 1875, dopo un pellegrinaggio a Lourdes, suor Maria di Gesù Crocifisso, con altre otto carmelitane, salpò per il Medio Oriente.
Il 6 settembre era a Gerusalemme e l’11 giunse a Betlemme, dove fu costruito il primo monastero carmelitano a forma di torre sulla ‘collina di Davide’, secondo un progetto ideato da lei stessa, che diresse anche i lavori di costruzione; fu inaugurato il 24 settembre 1876 e il 21 novembre le suore poterono entrarvi.
Progettò anche la fondazione di un Carmelo a Nazareth, dove si recò nel 1878 a vedere il terreno adatto; si recò in pellegrinaggio anche ad Ain Karem, ad Emmaus, al Monte Carmelo e ad Abellin, senza perdere il contatto con la presenza di Dio un solo istante.
Fece arrivare in Terra Santa i Padri di Betharram, fondati da s. Michele Garicoïts e per i quali si adoperò per l’approvazione delle Costituzioni.
Umile e illetterata seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con chiarezza cristallina, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo.
Lo Spirito la faceva partecipe degli avvenimenti anche lontani, del mondo cattolico, dalle missioni in Asia all’attività apostolica del ‘suo’ papa Pio IX, alla cui morte partecipò in estasi, il 7 febbraio 1878; come. sempre in estasi, partecipò all’elezione del successore papa Leone XIII.
Continuò a vivere a Betlemme i suoi ultimi anni della sua breve esistenza, fra estasi, visioni, levitazioni, bilocazioni, stimmate, ma anche tormenti demoniaci, ossessioni del maligno; sempre più attratta da Dio, pregava: “Non posso più vivere, o Dio, non posso più vivere. Chiamami a te!”.
Il 22 agosto del 1878, mentre trasportava due secchi d’acqua per dare da bere ai muratori che lavoravano nel giardino del monastero, cadde inciampando su una cassetta di gerani fioriti e si ruppe un braccio in più parti, mentre la soccorrevano mormorò: “È finita”; il giorno dopo s’era già sviluppata la gangrena.
Alle cinque del mattino del 26 agosto, baciando per l’ultima volta il crocifisso, morì a soli 32 anni; la “piccola araba” la cui breve vita fu straordinaria sotto tutti gli aspetti, fu tumulata nello stesso convento carmelitano di Betlemme.
Ad Abellin suor Maria di Gesù Baouardy è venerata come “la Kedise” (la santa), sia da cristiani che da musulmani e tanti devoti raccontano di aver ricevuto miracoli per sua intercessione.
La “piccola araba” è stata proclamata Beata il 13 novembre 1983, da papa Giovanni Paolo II, durante l’anno del Giubileo della Redenzione.
Si riporta a conclusione, una strofa di un lungo salmo di contemplazione, da lei composto di getto:
“A chi assomiglio io, Signore?
Agli uccelletti implumi nel loro nido.
Se il padre e la madre non portano loro il cibo
muoiono di fame.
Così è l’anima mia,
senza di te, o Signore.
Non ha sostegno,
non può vivere ...”.
La Chiesa la ricorda il 26 Agosto, mentre i Carmelitani Scalzi ne fanno memoria il 25 Agosto. (Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria di Gesù Crocifisso, pregate per noi.


16 San Massimiliano di Roma - Martire (26 agosto)  

Martirologio Romano: A Roma sulla via Salaria antica nel cimitero di Basilla, San Massimiliano, martire. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - San Massimiliano di Roma, pregate per noi.  


17 San Melchisedech - Re di Salem e sacerdote (26 agosto)  
II millennio a.C.
“Melchisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo” è citato due volte nell’Antico Testamento. Incontrò Abramo, gli offrì pane e vino e lo benedisse. Abramo in cambio gli consegnò la decima del bottino recentemente conquistato (Gn 14,18-20). Quando Gerusalemme diventò capitale del Regno di Israele, il re Davide venne proclamato “sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedech” (Sal 110,4). Tale allusione ad un altro sacerdozio, differente da quello levita, venne utilizzata nella Lettera agli Ebrei: Cristo è sacerdote non per discendenza carnale, ma “alla maniera di Melchisedech” (Eb 6,20). La tradizione cristiana vide in Melchisedech una profezia di Cristo e nell’offerta del pane e del vino la profezia dell’Eucaristia.
Etimologia: Melchisedech = il Re, cioè Dio, è giustizia
Emblema: Pane e vino
Martirologio Romano: Commemorazione di san Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, che salutò Abramo di ritorno dalla vittoria con la sua benedizione, offrendo al Signore un sacrificio santo, una vittima immacolata, e fu visto come prefigurazione di Cristo, re di pace e di giustizia e sacerdote in eterno, senza genealogia.
“Melchisedech, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse
Abramo con queste parole: Sia benedetto Abramo dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici”. Così il libro della Genesi (14,18-20) cita questo misterioso personaggio, vissuto verso il secondo millennio avanti Cristo, re cananeo di Salem, nome arcaico della futura città di Gerusalemme e capitale del re Davide, ed al tempo stesso sacerdote della divinità locale el-'eljòn, cioè “Dio altissimo”.
I segni del pane e del vino, che Melchisedech presentò al patriarca biblico Abramo, per il cristiano divennero segno di un più alto mistero, quello dell’Eucaristia. Proprio in tale nuova luce l’episodio di Melchisedech acquista un nuovo significato rispetto a quello originario. Per l’autore della Genesi infatti l’offerta di pane e vino ad Abramo ed alle sue truppe affamate, di passaggio nel territorio del re di Salem tornando da una spedizione militare contro i quattro sovrani orientali per liberare il nipote Lot, è intesa quale segno di ospitalità, di sicurezza e di permesso di transito. Il territorio di Salem e quindi Gerusalemme saranno infatti strappati come è assai noto ai Gebusei solo secoli dopo dal re Davide. Abramo accettò il benevolo gesto di Melkisedech e ricambiò con la decima del bottino di guerra, così da attuare un sorta di patto bilaterale.
La seconda citazione antico testamentaria è data dal Salmo 110,4, nel quale a proposito del re davidico si dice: “Tu sei sacerdote per sempre, al modo di Melkisedech”, forse per assicurare anche al sovrano di Gerusalemine una qualità sacerdotale, differente dal sacerdozio levitino, in quanto Davide ed i suoi successori appartennero alla tribù di Giuda anziché a quella sacerdotale di Levi.
Sin qui il cuore storico del racconto, per altro non esente da interrogativi e da questioni esegetiche che dilungherebbero però eccessivamente la presente trattazione. E’ invece interessante evidenziare la simbologia che il re di Salem ha acquisito dalla successiva tradizione cristiana.Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Ebrei (cap. 7) iniziò infatti ad intravedere in Melchisedech il profilo Gesù Cristo, sacerdote perfetto. Infatti l’autore neotestamentario di tale libro, volendo presentare Cristo come sacerdote in modo unico e nuovo rispetto all’antico sacerdozio ebraico, decise di ricorrere proprio all’antica figura di Melkisedech. Questo nome significa infatti “il Re, cioè Dio, è giustizia”, mentre “re di Salem” vuol dire “re di pace”. Si coniugano così nel re-sacerdote i due doni messianici per eccellenza: la giustizia e la pace. Rimarcando poi il fatto che Abramo si sia lasciato benedire da lui, riconoscendone perciò la supremazia, afferma implicitamente la superiorità del sacerdozio di Melkisedech rispetto a quello di Levi discentente di Abramo. Non resta dunque così che concludere che Cristo, discendente davidico, è “sacerdote in eterno alla maniera di Melkisedech”, proprio come predetto dal Salmo 110. È dunque in questa luce che la tradizione cristiana non esitò a riconoscere nel pane e nel vino offerti dal re di Salem ad Abramo una profezia dell’Eucaristia.
Il celebre padre Turoldo, religioso e poeta del XX secolo, cantò infatti: “Nessuno ha mai saputo di lui, donde venisse, chi fosse suo padre; questo soltanto sappiamo: che era il sacerdote del Dio altissimo. Era figura di un altro, l’atteso, il solo re che ci liberi e ci salvi: un re che preghi per l’uomo e lo ami, ma che vada a morire per gli altri; uno che si offra nel pane e nel vino al Dio altissimo in segno di grazie: il pane e il vino di uomini liberi, dietro Abramo da sempre in cammino”.In quest’ottica Melchisedech entrò a far parte anche del patrimonio liturgico latino, tanto da meritarsi una citazione nel cosiddetto Canone Romano, cioè dopo il Concilio Vaticano II la Preghiera Eucaristica I: “Tu che hai voluto accettare i doni di Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote, volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno”.Ciò comporto una certa influenza anche nell’ambito iconografico ed in tale direzione sono da segnalare i mosaici della basilica romana di Santa Maria Maggiore, risalenti al V secolo, in cui la scena di Melchisedech è stata collocata nei pressi dell’altare al fine di meglio sottolineare il legame intrinseco con l’Eucaristia. Inoltre sulla parete interna della facciata della cattedrale di Reims, XIII secolo, è raffigurato l’incontro tra Abramo e il re sacerdote proprio come se si trattasse della comunione eucaristica. Infine si cita Rubens che nel ‘600 inserì la scena biblica in un arazzo intitolato “Il trionfo dell’Eucaristia”. Il pane e il vino sono infatti ormai definitivamente intesi come quelli deposti sulla tavola dell’ultima cena da Gesù e la spiegazione del loro valore è costituita dalle parole che Cristo stesso pronunziò nella sinagoga di Cafarnao: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me io in lui” (Gv 6,51.56).
Venerato come santo, Mechisedech viene ricordato l’8 settembre nel calendario della Chiesa Etiopica, mentre il nuovo Martyrologium Romanum ha inserito in data 26 agosto la “Commemorazione di San Mechisedech, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, il quale benedicendo salutò Abramo che ritornava vittorioso dalla guerra. Offrì a Dio un santo sacrificio, una vittima immacolata. Viene visto come figura di Cristo re di giustizia, di pace e eterno sacerdote, senza genealogia”. (Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Melchisedech, pregate per noi.  

   

18 Sant' Oronzo (Oronzio) - Vescovo (26 agosto)  
Patronato: Lecce
Emblema: Bastone pastorale
L'evangelizzazione del Salento e la sua latinizzazione poté verificarsi nel V secolo a opera di religiosi formati alla scuola di sant'Agostino e preparati sulle traduzioni latine della Sacra Scrittura eseguite in Africa per le chiese di quella regione prima che in Italia per le chiese di questa. Si trattava di profughi africani che, come attesta anche Vittorio di Vita (484), qui si rifugiarono per sfuggire alle persecuzioni poste in atto dai vandali d'osservanza ariana.
Traccia dei "vescovi e dei cristiani provenienti dal Nordafrica", giunti nella metropolia di Brindisi è "nel culto antico per sant'Oronzo in Lecce"; le leggende concernenti questo santo, cui l'attribuito scampo dalla peste nel 1656 determinò il sorgere di nuove correnti di devozione popolare, trovarono momenti di focalizzazione anche nell'area culturale brindisina.
Il sant'Oronzo venerato nel Salento è da identificarsi col martire Arontius di Potenza, ricordato dall'antico martirologio Geronimiano; si tratta di un martire sicuramente esistito il cui corpo, insieme a quello di altri santi appulo - lucani, venne traslato verso la metà del sec. VIII a Benevento. In questo centro longobardo si venne a formare la leggenda secondo la quale Aronzo
e Fortunato - quest'ultimo non compare nel Geronimiano ma risulta da un'altra antica fonte quale la passio di San Felice di Thibiuca - farebbero parte del gruppo dei dodici fratelli africani martirizzati nella persecuzione di Massimiano in varie città del mezzogiorno d'Italia. La leggenda ha scarsissima attendibilità e di certo ha solo il riferimento all'esistenza e al martirio dei santi citati. Da Potenza e Benevento il culto di sant'Aronzo si diffuse in molti centri meridionali come attesta una vasta documentazione ascrivibile ai secoli XI-XIV. A Lecce il culto oronziano non ha riscontri anteriormente al XII secolo e appare localizzato e riferibile a una chiesa fuori le mura sull'attuale sito della cappella detta del martirio di Sant'Oronzo.
In Ostuni la memoria oronziana ha precedenze legate all'onomastica cinquecentesca; gli atti di santa visita del 1558 evidenziano come molti sacerdoti abbiano il nome di Rontius, evidente derivato di Orontius; il 4 giugno 1567 il Capitolo Cattedrale di Ostuni accetta un legato del defunto abate Federico Lercario il quale concede dei beni che debbono essere utilizzati per il sostentamento di un sacerdote addetto alla chiesa di Sant'Oronzo fuori le mura. Almeno dalla metà del XVI secolo esisteva una chiesa con dedicazione oronziana sul monte Morrone lì dove, nel secolo successivo, sarebbe stata scoperta la grotta in cui il santo avrebbe trovato scampo in età neroniana e il fonte che avrebbe fatto aprire nella roccia; le riscoperte memorie, fissate e sacralizzate per la costruzione o ricostruzione del santuario realizzata poco dopo l'evitata peste del 1656, ebbero fama di miracolose.
Riferiscono i bollandisti sul prodigioso fonte di sant'Oronzo sui monti di Ostuni che il 25 del mese di maggio del 1711 cessò di fornir acqua e il 26 agosto dello stesso anno, nel qual giorno si ricorda il martirio di codesto santo, da quello scaturì acqua per dar refrigerio a quanti erano giunti al santuario provenendo non solo da Ostuni e centri viciniori ma anche da Terra di Bari. L'acqua cessò di scaturire il giorno 27 dello stesso mese e anno e non fu disponibile per molti mesi a seguire. Ciò attestarono il 20 maggio 1733 il sindaco Bernardino Lucesani, gli uditori Giuseppe Giaconìa e Lazzaro Fortunato Paleolo, il cancelliere della città di Lecce Orazio Tommaso Marasco aggiungendo che ove qualcosa di sinistro accadesse alla statua di sant'Oronzo, andrebbe interpretato come funesto presagio per la città. In questi stessi anni a sant'Oronzo si attribuisce la miracolosa guarigione del napoletano don Fabio Surgente, allora residente in Ostuni.
Venerato patrono di Lecce, s. Oronzo è affiancato dai santi Giusto e Fortunato e insieme vengono commemorati il 26 agosto. Le prime notizie che riguardano questi santi sono tratte da un’antica pergamena del secolo XII, oggi scomparsa.
Giusto, discepolo di s. Paolo, era in viaggio verso Roma, quando una forte burrasca del mare fece naufragare la nave sulle coste della Penisola Salentina; qui incontrò due cittadini di Lecce, Oronzo e Fortunato, zio e nipote e li convertì al cristianesimo. Secondo la tradizione lo stesso s. Paolo, nominò Oronzo primo vescovo della città, qui le notizie diventano più lacunose, i tre santi si misero a predicare il Vangelo e convertire i pagani idolatri e andati nella città di Lecce, arditamente fecero a pezzi la statua di Giove che stava nel suo bellissimo tempio, allo stesso modo dopo pochi giorni ruppero a pezzi la statua di Marte posta fuori la città.
Non è certo se è per questi episodi o altro, che Oronzo fu martirizzato con l’ascia, durante la persecuzione di Nerone, stessa sorte toccò a Fortunato che gli era succeduto nella carica di vescovo, ed a Giusto.
Il culto per questi martiri è antichissimo sia a Lecce che nell’Italia Meridionale; solo nel 1658 la festa li vede accomunati tutti e tre, in precedenza il culto era singolo per ognuno, i Martirologi Romano e Geronimiano nominano vari Fortunato e Giusto ma con grande incertezza se sono gli stessi venerati a Lecce.
S. Oronzo o Oronzio invece ha avuto un culto più ampio e la devozione dei fedeli si è molto diffusa specie in Puglia e Basilicata ( a Potenza è chiamato Aronzo), i leccesi gli danno merito di aver preservato la città dal contagio della peste del 1656 che imperversava in Napoli e in tutto il vicereame.
E’ oggetto di molte opere d’arte tipiche del barocco leccese, compreso delle guglie, sempre raffigurato con abiti vescovili, il pastorale e ai piedi i resti degli idoli da lui infranti. (Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Oronzo, pregate per noi.    


19 Beato Pietro da Benisa (Alejandro Mas Ginestar) - Sacerdote e Martire (26 agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001 - Senza data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna”

1876 - 1936
Martirologio Romano:
A Denia nel territorio di Alicante ancora in Spagna, Beato Pietro (Alessandro) Max Ginestar, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che fu coronato dal martirio per Cristo nella medesima persecuzione.  
Nacque a Benisa (Alicante) l’11 dicembre 1876, ultimo dei quattro figli degli sposi D. Francisco Mas e Donna Vicenta Ginestar; e fu battezzato il 12 dicembre 1876 nella parrocchia della “Purísima xiqueta” di Benisa. Entrò nell’Ordine cappuccino, vestendo l’abito il 1° agosto 1893 nel
convento di S. Maria Maddalena a Massamagrell. Fece la professione temporanea il 3 agosto 1894 e quella perpetua l’8 agosto 1897.
Terminati gli studi ecclesiastici, fu ordinato sacerdote a Ollería il 22 dicembre 1900. E da allora svolse il suo ministero apostolico in diverse case della Provincia, consacrandosi principalmente all’apostolato della gioventù e della catechesi.
Si distinse sempre per la sua fedeltà alla Regola. “Era fedele osservante della Regola francescana e delle Costituzioni - dice di lui D. Francisco Barres, abitante di Massamagrell - fino al punto di lasciare i giovani alcuni momenti prima del suono della campana per un qualsiasi atto comunitario per poter arrivare in tempo”.
Tutti sapevano che era “uomo di carattere, ma sapeva dominarsi e si dimostrava persona piena di bontà”. “Fu un buon religioso - afferma Donna Josefa Moreno - e, data la sua bontà, in più di un’occasione intervenne presso i suoi per risolvere situazioni difficili in famiglia, conciliando gli animi e procedendo sempre con squisita prudenza”.
“Mentre era nascosto - dichiara la Sig.na Mercedes Lloris - mostrò sempre grande serenità. Pregava moltissimo e il Santo Rosario lo recitavamo sempre in famiglia su suo invito”.
Pure lui si vide obbligato ad abbandonare il convento dopo il 18 luglio 1936 e si rifugiò prima in casa di alcuni amici e poi in casa di una sorella, a Vergel (Alicante). “Durante questo tempo - ricorda il Sig. Barres Ferrer - lo si vide sereno, senza lamentarsi che Dio permettesse tali cose. Dimostrò pazienza e recitava l’Ufficio divino”. “Si rendeva perfettamente conto - afferma la Sig.a María Jansarás - del grande pericolo che correvano lui e tutti, e lo diceva molto a mio padre.
Ci esortava a pregare molto e ad essere sempre preparati abbandonandoci nelle mani di Dio. Durante il tempo in cui stette nascosto, ogni volta che gli facevamo visita, si mostrava rassegnato e ci ripeteva molte volte ‘che non piangessimo, perché, dal momento che Dio lo permetteva, ciò era bene per noi’. Pregava costantemente”.
Fu preso dai miliziani il 26 agosto 1936 e poi ucciso nella cosiddetta “Alberca de Denia”; poi sepolto nel cimitero di Denia.
Il 30 luglio 1939 i suoi resti furono esumati; il suo cranio era totalmente fracassato. Aveva ricevuto più di quattordici fucilate. I suoi resti riposano nella cappella dei martiri cappuccini del convento della Maddalena a Massamagrell.
I sentimenti di P. Pietro davanti alla morte sono condensati in alcune espressioni che egli ripeteva alla sorella: “Se vengono a prendermi, sono pronto”. (Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Pietro da Benisa, pregate per noi.  


20 San Secondo - Martire (26 agosto)
+ San Secondo di Salussola, Biella, 286/206
Patronato:
Biella, Ventimiglia (IM), Salussola (BI), Torino
Etimologia: Etimologia: Secondo = figlio secondogenito, dal latino
Emblema: Palma, Spada, Stendardo
Il martirio di San Secondo avvenne nell’antica Vittimulo (oggi frazione San Secondo di Salussola, in provincia di Biella) in un anno compreso tra il 286 e il 306. Patrono di Ventimiglia (nella Cattedrale è venerato il suo capo), è compatrono anche di Torino. Qui, in un altare del Duomo, sono conservate le altre sue reliquie e, in città, gli è dedicata una parrocchia che dà il nome alla zona circostante. Le notizie più antiche che abbiamo su questo martire sono contenute in documenti medievali del IX secolo.
Luogotenente della Legione Tebea, Secondo era nativo della provincia di Tebe, nell’Alto Egitto. Gli Imperatori romani Diocleziano e Massimiano avevano inviato questo esercito in Svizzera, agli
ordini di Maurizio, per sedare la rivolta dei Bagaudi. L’intera Legione trovò la morte ad Agauno (odierna St. Maurice, nel Vallese), in quanto i suoi membri, tutti cristiani, non rinnegarono il proprio credo partecipando al consueto sacrificio pagano che si teneva prima di una battaglia. Secondo fu martirizzato prima che la Legione varcasse le Alpi. La sua “Passio” narra che, dopo essersi professato cristiano, gli fu dato un termine per abiurare che scadeva con l’arrivo a Vittimulo, stazione di sosta nella marcia verso le Gallie. Al suo diniego venne decapitato: il sangue di un martire bagnava la terra biellese. Secondo fu d’esempio a tutti i compagni.
La piccola comunità cristiana del paese lo seppellì e la tomba divenne luogo segreto di preghiera, pubblico dopo l’editto di Costantino. Se ovviamente non esistono documenti coevi ai fatti, certo è che il suo culto a Vittimulo fu immediato. La più antica pieve del basso biellese fu eretta in suo onore, sul luogo del martirio, da S. Eusebio (vescovo dal 345 al 371). Se ne conserva una lapide del V – VI secolo, oggi al Museo Civico di Biella. La venerazione era talmente radicata che, nei secoli successivi, il luogo era denominato semplicemente “plebes S. Secundi”.
Le reliquie di San Secondo lasciarono Vittimulo nel VIII – IX secolo, a causa della distruzione del paese. Furono portate nell’abbazia benedettina della Novalesa, tra le maggiori del Piemonte, fondata nel 726 lungo una delle vie più importanti delle Alpi. Probabilmente furono prese durante la distruzione, poi donate o vendute ai Benedettini. Nel 906, per sfuggire all’invasione dei Saraceni, i monaci ripararono a Torino portando le reliquie dei santi e preziosi codici manoscritti. Una loro proprietà era il monastero di Sant’Andrea (odierno Santuario della Consolata) e lì trovarono rifugio. Nel 990 i benedettini poterono tornare alla Novalesa: i resti di S. Secondo furono lasciati in città dove gli era stata dedicata una chiesa presso la Dora (distrutta nell’XI secolo), a eccezione del capo che fu donato al vescovo Panteio di Ventimiglia. Egli, a Susa per ripianare delle controversie, aveva riconsacrato gli altari della Novalesa.
Nel 1579, in occasione di una pestilenza, la città di Ventimiglia fece un voto a S. Secondo. Liberata dal morbo fu eletto patrono dell’intera diocesi (ufficialmente nel 1602) con festa al 26 agosto. Negli antichissimi codici di Vercelli, alcuni dei quali provenienti dalla Novalesa, era invece stabilita al 28 agosto. Anche a Torino fu eletto compatrono della città durante una pestilenza (nel 1630). La diocesi di Biella, dal 2004, ha ripristinato la memoria liturgica nel calendario diocesano. (Autore: Daniele Bolognini -Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Secondo, pregate per noi.


21 Santi Simplicio, Costanzo e Vittoriano - Martiri a Celano (26 agosto)

Borgogna – † Celano (L’Aquila), 26 agosto 159 ca.
Bisogna dire che su questi tre martiri, la fantasia degli agiografi antichi, si è sbizzarrita nel raccontarne la vita. Il racconto, purtroppo di nessun valore storico, proviene da un’antica ‘Passio’, riportata in una iscrizione del 1406.
Il loro culto nella Marsica aquilana è del sec. XI, quando il vescovo Pandolfo, destinatario di un documento di papa Stefano IX nel 1057, fa una ricognizione delle reliquie dei martiri Simplicio, Costanzo, Vittoriano e le fa riporre sotto l’altare maggiore di S. Giovanni Vecchio, l’antica Collegiata di Celano (L’Aquila).
In seguito detta città fu distrutta da Federico II nel 1222, e quindi riedificata sul Colle S. Vittorino, e le citate reliquie furono trasportate in una cappella della nuova chiesa, il 10 giugno 1046, con l’iscrizione sopra citata.
Ne facciamo un riassunto; al tempo dell’imperatore romano Antonino Pio (138-161), in Borgogna, si convertì al Cristianesimo un’intera famiglia, che venne battezzata da s. Gennaro (forse un santo omonimo francese, non quello venerato a Napoli), a questo punto la madre Gaudenzia si ritirò in un monastero, mentre il padre Simplicio ed i figli Costanzo e Vittoriano, presero a propagare con impegno, la nuova religione.
Intanto venne inviato in Francia (Gallia) il prefetto Ponzio, con severe disposizioni contro i cristiani. I tre burgundi vennero arrestati e condotti davanti al suo tribunale, dove illustrarono
la teologia della Trinità e della Redenzione. Vennero frustati ed i carnefici, secondo il leggendario e fantasioso racconto, morirono subito dopo all’istante; allora furono chiusi in carcere, dove apparve loro un Angelo, che mostrò ad essi la gloria dei santi.
Ponzio l’inviò a Roma per farli condannare a morte; non mancarono prodigi avvenuti durante il viaggio, una fanciulla di Ravenna, cieca da otto anni, per le loro preghiere, riebbe la vista. Giunti a Roma volevano visitare e pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo, ma ne vennero impediti dalle guardie; allora Dio intervenne, liberandoli dalle catene e permettendo così il pellegrinaggio desiderato, insieme ad una folla (?) di cristiani.
A questo punto seguì una colossale rissa fra pagani e cristiani, con grandi perdite da parte dei pagani. I tre francesi vennero di nuovo arrestati e portati alla presenza dell’imperatore Antonino Pio, che in quel periodo si trovava in Marsica, per trascorrevi un periodo di riposo estivo.
Anche qui, continuano le descrizioni di prodigi miracolosi, da parte dell’estensore dell’antica ‘Passio’; alla presenza dell’imperatore, Simplicio ed i figli Costanzo e Vittoriano, ribadirono tenacemente la loro fede, per cui vennero gettati in un carcere pieno di serpenti e scorpioni, ne uscirono illesi per un nuovo intervento di un Angelo.
Allora vennero condannati ad essere squartati da quattro giovenche infuriate, ma queste non si mossero; alla fine il 26 agosto del 159 ca. vennero decapitati ad “Aureum fontem”, denominazione con la quale, lo scrittore intese certamente indicare il luogo, dove poi sorgerà la chiesa di S. Giovanni Vecchio a Celano, che anche in altri testi, viene detto “S. Ioannis in capite acquae”.
Alla loro morte segui un terremoto e uno dei carnefici si convertì ed insieme ad altri, si recò dal diacono Fiorenzo, pregandolo di scrivere gli ‘Atti’ del martirio dei tre santi, raccontandogli tutti i particolari, che furono così tramandati.
In questa narrazione sono tutti presenti gli elementi, che gli antichi agiografi, inserivano nei racconti aurei delle vite e delle morti dei martiri. Apparizioni di Angeli, liberazioni improvvise, prodigi miracolosi, Dio non è presentato solo per esaltare i suoi martiri, ma anche per vendicarne le pene o la morte.
Ad ogni modo i nomi di Simplicio, Costanzo e Vittoriano, furono inseriti nel ‘Martirologio Romano’ al 26 agosto, solo nel 1630; riconoscendo così comunque, l’esistenza reale dei tre martiri, che si è pensato pure, fossero in realtà tre persone non della stessa famiglia, ma provenienti da luoghi diversi come Roma, Perugia, Amiterno e accomunati nel martirio, subito nella Marsica. (Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Simplicio, Costanzo e Vittoriano, pregate per noi.  


22 Santa Teresa di Gesù Jornet e Ibars - Fondatrice (26 agosto)

Aytona (Lérida), Catalogna, 9 gennaio 1843 - Liria, Valenza, 26 agosto 1897
Nasce ad Aytona in Catalogna, il 9 gennaio 1843. Studia a Lérida e Fraga conseguendo il diploma magistrale consigliata dallo zio, il carmelitano scalzo Francesco Palau y Quer, che avendo cominciato a fondare una congregazione religiosa, ha pensato a Teresa come possibile collaboratrice. Infatti Teresa nel 1862 si associa alle Terziarie carmelitane radunate dallo zio, diventando direttrice delle scuole. Nel 1872 dopo la morte dello zio incontra il sacerdote Saturnino López Novoa che sta fondando una Congregazione di suore addette all'assistenza spirituale e materiale dei vecchi poveri. Nell'ottobre del 1872 indossa l'abito religioso insieme al primo gruppo di aderenti del nascente Istituto, venendo nominata direttrice due mesi dopo. Nel 1873 l'arcivescovo di Valenza approva le Costituzioni, confermando Teresa nella carica di superiora delle «Piccole suore dei poveri abbandonati». Nel 1882 la congregazione cambia nome in «Hermanitas de los ancianos desamparados» (Piccole suore degli anziani abbandonati). Gravemente ammalata muore il 26 agosto 1897 a Liria (Valenza). Fu canonizzata da Paolo VI nel 1974.  (Avvenire)
Martirologio Romano: A Liria in Spagna, santa Teresa di Gesù Jornet Ibars, vergine, che fondò per l’assistenza agli anziani l’Istituto delle Piccole Sorelle degli Anziani Abbandonati.
Nacque ad Aytona (Lérida) in Catalogna, il 9 gennaio 1843, ove trascorse la fanciullezza e l’adolescenza, studiò anche a Lérida e Fraga conseguendo il diploma magistrale consigliata dallo zio, il carmelitano scalzo Francesco Palau y Quer, che avendo cominciato a fondare una congregazione religiosa, aveva pensato a Teresa come possibile collaboratrice.
Infatti Teresa dopo un breve periodo d’insegnamento in provincia di Barcellona, nel 1862 si associò alle Terziarie carmelitane radunate dallo zio, diventando direttrice delle scuole.
Ma desiderosa di maggiore spiritualità e perfezione, nel 1868 entrò fra le clarisse di Briviesca (Burgos) ma uscendone nel 1870, a causa della salute cagionevole e ritornando fra le Terziarie dello zio con i precedenti compiti, ma anche qui non durò a lungo, nel 1872 dopo la morte dello
zio, l’Istituto subendo contrasti e persecuzioni fu sul punto di sciogliersi e Teresa se ne ritornò al paese natìo Aytona.
La volontà di Dio si manifestò un paio di mesi dopo, facendole incontrare il sacerdote Saturnino López Novoa che stava fondando una Congregazione di suore addette all’assistenza spirituale e materiale dei vecchi poveri di ambo i sessi; Teresa comprese che questa era la sua strada e nell’ottobre del 1872 indossò l’abito religioso insieme al primo gruppo di aderenti del nascente Istituto, venendo nominata direttrice due mesi dopo.
A maggio del 1873 si trasferì con le suore a Valenza, avendo ricevuta lì in dono una casa; nello stesso anno l’arcivescovo della città approvò le Costituzioni, confermando Teresa nella carica di superiora delle “Hermanitas de los pobres desamparados” (Piccole suore dei poveri abbandonati). Con la sua direzione si aprirono altre fondazioni a partire da Saragozza, in dodici anni aprì 47 case per i vecchi poveri sparse in tutta la Spagna; per la Congregazione, dopo aver ricevuto negli anni le varie approvazioni, arrivò quella definitiva nel 1897.
Intanto la beata Teresa di Gesù Jornet e Ibars nel 1885, associò alla sua Congregazione le “Hermanitas de los pobres inválidos” (Piccole suore dei poveri invalidi) di Santiago di Cuba, dove inviò un gruppo di sue suore, che poi negli anni seguenti raggiunsero tutti i Paesi dell’America Latina.
Purtroppo nel 1887 ci fu una contestazione con l’Istituto gemello francese, che chiedeva o la congiunzione di quello spagnolo con il francese, evidentemente più precedente nel tempo, oppure di cambiare la denominazione dell’Istituto spagnolo. Madre Teresa difese con carità e fermezza il diritto all’esistenza del suo Istituto, addivenendo nel 1882 ad un accordo e cambiando la denominazione in “Hermanitas de los ancianos desamparados” (Piccole suore degli anziani abbandonati).
Gravemente ammalata di un male che la consumava, morì ancora giovane a 54 anni, il 26 agosto 1897 a Liria (Valenza); in quell’anno le sue suore (Hermanitas) erano 1200 e le case - ospizi 103.
I suoi resti mortali furono spostati da Liria alla casa-madre di Valenza il 1° giugno 1904; una sua disposizione di non spendere denaro che non fosse per i poveri, specie se per promuovere la santità di questa o quella suora, bloccò l’inizio della causa di beatificazione, che poté sbloccarsi con l’intervento delle Autorità ecclesiastiche, negli anni 1945-46.
L’iter fu veloce e il 27 aprile 1958 papa Pio XII la proclamò beata, poi dopo l’approvazione dei richiesti miracoli ottenuti per sua intercessione, è stata canonizzata da papa Paolo VI il 27 gennaio 1974.
La festa liturgica viene celebrata il 26 agosto, giorno della sua morte. (Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teresa di Gesù Jornet e Ibars, pregate per noi.


23 San Vittore - Martire (26 agosto)
Martirologio Romano: A Cesarea di Mauritania, nel territorio dell’attuale Algeria, san Vittore, martire, che, condannato a morte, si dice sia stato crocifisso di sabato. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittore, pregate per noi.

 
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